Exit Counseling: libertà senza coercizione

Exit counseling, anche chiamata “terapia di intervento strategico”, è una pratica destinata a persuadere un individuo ad abbandonare una setta. A differenza del deprogramming, l’Exit counseling è una procedura volontaria, il seguace viene trattato con rispetto e la decisione di rimanere o lasciare il gruppo spetta solamente lui e sarà accettata dall’exit counselor che lo segue.

L’exit counselor è infatti convinto che una volta che il soggetto è consapevole dei difetti logici delle sue convinzioni e della sua fedeltà, in aggiunta ai fattori emotivi che lo vincolano alla setta, egli non si sentirà più a suo agio all’interno dell’organizzazione.

Carol Giambalvo, grande esperta di Exit couseling, descrive la pratica con i seguenti passi:

  • Prima di iniziare la pratica, l’exit counselor incontra la famiglia dell’adepto e, se le loro preoccupazioni sono fondate, allora la famiglia viene informata sull’organizzazione ed i suoi insegnamenti;
  • In base alle informazioni ricevute, la famiglia decide se la pratica è appropriata o no per il soggetto. In ogni caso l’exit counselor spiega alla famiglia come meglio gestire e occuparsi della situazione.
  • L’intervento avviene in presenza di un membro della famiglia che presenta al soggetto l’exit counselor. Questa fase è particolarmente delicata poiché è fondamentale che egli stabilisca da subito un rapporto con il soggetto che altrimenti potrebbe decidere di andarsene.
  • Lo scopo dell’exit counselor è di esaminare le informazioni con il soggetto e la sua famiglia. Il contenuto di queste informazioni riguarda solitamente la natura del controllo mentale, problemi ideologici dell’organizzazione, incluse informazioni speciali che non sono a disposizione del soggetto come, ad esempio, l’analisi di documenti privati della setta.
  • Infine, spetta al soggetto prendere una decisione su cosa fare delle informazioni che ha ricevuto. La scelta verrà rispettata. [1]

 

Le persone che praticano l’Exit counseling spesso operano una netta distinzione tra “l’involontario Deprogramming” ed il “volontario Exit counseling” evidenziando che l’Exit counseling, a differenza del Deprogramming, non riguarda né il rapimento forzato né le minacce, ma che esso è finalizzato ad una decisione volontaria ed informata da parte del soggetto.

Per concludere, le differenze tra queste due pratiche sono notevoli: il Deprogramming prevede la coercizione e la detenzione, mentre nell’Exit counseling i soggetti sono liberi di andarsene quando vogliono. Dal punto di vista finanziario la prima pratica può venire a costare anche più di 10000$ a causa delle spese di sicurezza ed inoltre, in caso di fallimento, comporta rischi legali e psicologici notevoli.

Queste mie ricerche sono state fatte su studi e libri scritti da autori americani semplicemente per il fatto che purtroppo in Italia di queste pratiche per liberarsi dal controllo mentale non se n’è ancora parlato in modo approfondito.

 



[1] Giambalvo C., Exit counseling: A family Intervention, 1992.

Questa voce è stata pubblicata in DEPROGRAMMING ED EXIT COUNSELING. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>