Uno dei portoni più misteriosi e ambigui della città si trova in via XX settembre nel palazzo Trucchi Levaldigi, nella zona della vecchia nobiltà torinese e ora in possesso di una banca cittadina. È denominato il portone del diavolo per il suo battacchio rappresentante una testa diabolica e leggenda vuole che il proprietario Giovanni Battista Trucchi di Levaldigi – che tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo fu presidente generale delle finanze sabaude, membro del consiglio di Stato e conosciuto per la sua veloce e potente carriera nell’ambito politico – lo avesse fatto erigere in una sola notte, quasi arrivasse dall’inferno.
Il diavolo sul batacchio è completo di tutto punto con tanto di corna e sguardo corrucciato, dalla cui bocca compaiono due serpenti che si arrotolano e che simboleggiano le malelingue di cui Trucchi si vantava di non temere (molti sostenevano infatti che egli avesse venduto l’anima al diavolo). Inoltre, alla cime della colonna centrale, è raffigurato un mostro che sembra tenere tra i suoi artigli il mondo.
Se si presta attenzione, queste figure e maschere demoniache sono sparse un po’ dappertutto per Torino, nascoste nei vari anfratti delle facciate dei palazzi barocchi. Esse vengono spesso rappresentate con aspetti satanici o animaleschi, con sorrisi o sogghigni ironici o sinistri, spesso minacciosi. Per alcuni queste figure servivano a porre l’edificio al riparo da influssi malefici, spiriti malvagi o da malintenzionati. Ma vi è anche un’altra teoria per spiegare la grande presenza di queste maschere demoniache secondo la quale, invece, l’edificio veniva posto sotto la protezione del maligno e non contro di esso.
Vorrei quindi concludere questo capitolo con una frase di Montesquieu il quale, riferendosi proprio a Torino, scrisse : ”Qui le mura parlano”.