Voglia di cambiare? Weisse Gasse

Dresda è una città ricca di locali, ce n’è veramente per tutti i gusti: pizzerie, ristoranti, cucina locale e cucina esotica. La prima cosa che avevo notato appena arrivata durante un giro alla scoperta del centro era una via, la Weisse Gasse, colma di locali di ogni genere! C’erano ben 18 locali uno a fianco all’altro: ristorante italiano, indiano, cinese, giapponese, vietnamita ecc.  Ho subito pensato che li avrei provati tutti!

Weisse Gasse

Ma andiamo con ordine…

1) Cuchi Lounge: sushi, cocktails & more

2) Försters: il ristorante moderno

3) No. 3: ristorante & bar

4) Capetown’s: chill & grill

5) Gänsedieb: cucina tradizionale

6) Gelato e Caffè: gelateria italiana

7) Tapas Barcelona: cucina spagnola

8) Steak Royal: casa della bistecca

9) Kinh Do: specialità del Vietnam

10) Rauschenbach Deli: caffè e ristorante

11) Aroma Restaurant: cucine di tutto il mondo

12) Mangoo: cocktailbar caraibico

13) La Osteria: pizza e pasta

14) Tex Mex Santa Fe: ristorante messicano

15) Mandarin: ristorante cinese

16) The Dubliner: pub irlandese

17) Agra: ristorante indiano

18) Café Central: bar & ristorante

Ve li consiglio tutti, si mangia davvero bene e non si spende molto! Io personalmente sono diventata una fan del ristorante indiano Agra, ma si mangia anche molto bene a La Osteria (tralasciando la grammatica…) e  al Tapas Barcelona!

Ah dimenticavo! In Germania, nel conto, non è mai compreso il coperto ed è quindi buon uso lasciare una mancia…di solito corrisponde circa al 10% del totale, ma è a vostra discrezione scegliere quanto lasciare! Allora che aspettate?? Buon appetito!

Dresdner Bergbahnen

La maniera migliore per godere di un bellissimo panorama sulla città di Dresda e sul bacino dell’Elba – che fino a poco tempo fa poteva vantare il titolo di patrimonio culturale dell’UNESCO – è quella di prendere una delle due Bergbahnen, ovvero la Schwebebahn o la Stanseilbahn.

La prima consiste in un’ampia cabina sospesa e trasportata in avanti per mezzo del binario che la sovrasta, così che si ha la sensazione quasi di galleggiare fino a destinazione (“schweben” significa per l’appunto “galleggiare” in tedesco).

La seconda viaggia invece su una più tradizionale coppia di rotaie, ma condivide con la Schwebebahn lo scopo di trasportare turisti e abitanti dresdesi ai quartieri più alti e più immersi nel verde dell’intera città.

Se sarete fortunati e sceglierete la giornata giusta potrete godere dello spettacolo di numerose mongolfiere che si innalzano sull’ampio specchio d’acqua che scorre verso il centro provenendo dalla Boemia, con il tramonto sullo sfondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una nuova e sorprendente quotidianità

Uno scorcio della città di Dresda.

La convivenza è sempre un passo in avanti – talvolta un rischio, addirittura un azzardo, ma in ogni caso sempre un approfondimento – all’interno della vita di coppia. Uno degli elementi più importanti nel determinare la riuscita o meno di questo processo evolutivo è certamente costituito dai fattori ambientali in cui esso si radica. Convivere in un monolocale in centro innesca meccanismi molto differenti dal farlo in una grande casa di campagna: mutano gli spazi, le dinamiche quotidiane, la redistribuzione dei compiti. E certamente convivere all’estero è per diversi aspetti molto diverso dal farlo in Italia. La prima sorpresa, in quel di Dresda, è stato scoprire che il subaffitto, che da noi il più delle volte è un escamotage in nero per studenti in cerca di un letto, in Germania è perfettamente lecito, regolamentato e largamente praticato. Siamo stati a vedere per la prima volta quella che sarebbe diventata casa nostra nella tarda primavera del 2011, dopo una lunga ricerca sul sito wg-gesucht.de (consigliatissimo!) e una fitta corrispondenza elettronica. Una doppia firma e tre mesi dopo, ci siamo insediati. Burocraticamente è stato tutto molto semplice: bastava comunicare all’ufficio competente il proprio nuovo indirizzo per essere ufficialmente cittadini dresdesi a tutti gli effetti, senza complicazioni di sorta, grazie al nostro status di cittadini della UE. Ricevute le borse con i gadget di benvenuto, è ufficialmente iniziata la nostra vita di coppia in quella stupenda città dimenticata dal sole.

Alcune differenze rispetto alla vita italiana si sono manifestate ben presto. Innanzitutto tra le utenze mancava quella del gas, essendo lassù ampiamente diffuse le piastre elettriche invece dei nostri tradizionali fornelli. Ma questo non era certamente un problema, quale è stato piuttosto un atto teoricamente molto semplice: gettare la spazzatura. Il piccolo condominio in cui vivevamo era provvisto di bidoni comuni nel giardino interno per ogni sorta di materiale (in Germania i cassonetti per la strada sono molto rari, dato che si predilige la raccolta porta a porta), ad eccezione del vetro, curiosa assenza in quell’ordinata differenziazione. I primi tempi abbiamo smaltito i nostri vasetti di senape di Bautzen vuoti“abusivamente”, in punta di piedi, nei bidoni del ricovero per anziani dall’altro lato della strada, prima di trovare i cassonetti per il vetro rispettivamente bianco, verde e marrone alcuni isolati più in là. Una volta limate questa e altre piccole novità gestionali nella conduzione del nostro nuovo nido sassone, il tutto si è svolto senza troppi problemi: anche là c’è chi non chiude la porta d’ingresso comune, chi tiene la musica alta fino a notte fonda, chi è un po’ troppo invadente negli spazi condivisi. E’ il prezzo da pagare per essere ormai troppi, e un po’ allo stretto, in questo mondo.

La percezione di essere diventati cittadini del quartiere ci è stata data dal venire ormai riconosciuti dal macellaio, dalla parrucchiera e dal gestore del negozio di telefonia, ma soprattutto dal ricevere a casa un invito a partecipare al referendum cittadino sulla possibile privatizzazione degli ospedali, ed è stato bello – in pieno inverno – imbacuccarsi per andare a esercitare, anche là, il nostro contributo alla democrazia. Ma il giorno in cui siamo diventati veramente cittadini di Dresda è stato quello in cui ci siamo sorpresi nell’apprendere che là è possibile aprire casa agli addetti alla lettura dei contatori senza ipotizzare come prima cosa che possano essere dei truffatori, realizzando che se da un lato casa propria è ovunque ci sia uno spazzolino, è altrettanto vero che è la forma mentis che ci suggeriscono i vari luoghi a determinare quale sia il suolo più propizio in cui seminare il proprio chicco per il futuro.

Luoghi sempre più comuni

Uno scorcio del Grosser Garten di Dresda.

Uno degli aspetti potenzialmente più fastidiosi del vivere all’estero è il venire a contatto con i pregiudizi ed i luoghi comuni più odiosi che, nel mondo intero, ci fanno da poco edificante biglietto da visita. Qui in Germania a dire il vero tale problematica si sente davvero molto poco (chissà se, oltrepassando il Fréjus invece che il Brennero, avremmo potuto dire altrettanto…). Eppure, anche qui, la lunga eco delle tradizioni più o meno lusinghiere del Bel Paese ha la sua risonanza all’interno della nostra vita quotidiana. Ad esempio ti può capitare di andare a fare un colloquio di lavoro presso un istituto linguistico, in cui ti spiegano che il loro metodo prevede di parlare agli allievi esclusivamente nella lingua di insegnamento, accompagnandola però con un abbondante gesticolare, “cosa che per Lei, in quanto italiano, certamente non sarà un problema”. Un sorriso sardonico, un pensiero impronunciabile, una teutonica stretta di mano, poi esci, vai a casa ed accendi la tv locale. E chi ti trovi davanti? Un tuo sedicente conterraneo, che si piega ad annusare un piatto di spaghetti (sicuramente stracotti) esclamando “Amore!”. Ma quale italiano lo farebbe mai? È come se Rai Uno ospitasse un tedesco che contempla l’indice dello spread affermando gongolante “Müller Thurgau!“. Eppure questo assurdo mélange di luoghi comuni funziona eccome, ed il messaggio evidentemente arriva, tant’è vero che quella marca di pasta qui in Sassonia viene copiosamente acquistata.

D’altra parte ci sono i luoghi comuni in positivo, che però il più delle volte sono quelli che accompagnano il nome della Germania in Italia, piuttosto che il contrario. Se da una parte un’idealizzazione della perfezione e del perfezionismo tedeschi sarebbe piuttosto lontana dalla realtà, è pur vero che oggettivamente abbiamo assistito a scene che ci hanno spinto a chiederci “Okay, dov’è la telecamera?”. Pensiline alla fermata dell’autobus che vengono ripulite con straccio ed olio di gomito, ed addetti che passano l’aspirapolvere in piazza, solo per fare qualche esempio. E poi, parola d’onore, non sappiamo come ma la radio nelle gallerie tedesche prende sempre, e non si spegne in un progressivo silenzio man mano che ci si addentra, per riconquistare un filo di voce non prima di intravedere l’uscita, come succede a tutti noi quando ad agosto saltiamo in auto verso la Liguria. Se il trucco c’è, non si vede. Adesso starà a noi conquistarci qualche luogo comune di cui essere fieri. Magari ricordandoci, nel caro vecchio Piemonte, di non dare del “marocchino” a tutti i commercianti di colore che incontriamo.

Mai provato il caffè De Caffeinato?

Spezie in ordine alfabetico.

I luoghi comuni, sempre loro, i nostri fedeli compagni di viaggio nell’era di internet, dei boing, di Schengen e del mercato globale. In un primo momento è divertente vederli confermati, ma sul lungo periodo dà più soddisfazione trovare il modo di smentirli. Qui in Germania capitano l’una e l’altra cosa. Il campo in cui i non del tutto immotivati stereotipi trovano il proprio terreno più fertile è senza dubbio quello alimentare, e c’è da dire con un certo sconforto che l’ignoranza reciproca è piuttosto radicata. Trovare un italiano, sudtirolesi a parte, che pronunci correttamente “würstel“ costituisce già di per sé un’impresa. Se non ci riuscite poco male, dato che (sorpresa!) qui “würstel“ in realtà non lo dice nessuno! Non è questa infatti la parola comunemente utilizzata per i tipici salsicciotti mitteleuropei, almeno non nella stragrande maggioranza delle regioni. Ma anche gli autoctoni, che pure della nostra cucina si dicono tanto appassionati, in quanto a strafalcioni non scherzano affatto. Quante mattine passando davanti ad un bar si sente ordinare un “latte macciato”, e quanti menu ci offrono per iscritto gli Anti Pasti (per non parlare del caffè dei nobili, l’egregio commendator De Caffeinato, specialità locale). D’altro canto, a ben vedere, non c’è motivo di correggere con snobismo le piccole convinzioni (e convenzioni) errate di uno stato in cui trovi ovunque il succo di cavolo in confezione da un litro, mentre quello di albicocca è considerato una sorta di buffa primizia che una ed una sola ditta commercializza in tutto il territorio. Stravaganze che comunque si sopportano volentieri, quando si vive in un luogo in cui persino le spezie, al supermercato, vengono disposte in ordine alfabetico. Ah, il piacere dell’organizzazione! Un brivido sconosciuto al popolo del sole, del cibo sano e delle tempistiche puntualmente disattese.

Ma l’Italia, statene pur certi, si sa far riconoscere più o meno ovunque. Una sera ci troviamo davanti al teatro per goderci il Rigoletto, e già pregustiamo la prospettiva di essere gli unici nella sala ad aver pagato per qualcosa che poi verrà effettivamente compreso, quando scopriamo che la cassa è insolitamente chiusa. In compenso c’è un tizio in bermuda hawaiani e lunga coda di cavallo che avvicina i passanti nel tentativo di vendere loro dei biglietti d’ingresso, di cui la sua borsa sembra essere fonte magicamente inesauribile. Qualcuno lo chiama: «Vito!». Abbiamo già capito tutto, prendiamo e ripieghiamo su una passeggiata sull’Elba al tramonto, in attesa di una soirée in cui gli unici italiani che incontreremo siano quelli di cui possiamo andare fieri, quelli che con voce stentorea, muovendosi sopra il palco, mantengono vivo il ricordo di un Paese dell’Arte che, purtroppo, non c’è più.

Ma Bussoleno non era in Val Susa?

Dresda, mercatini di Natale. Castagne di Bussoleno.

Spesso ci si meraviglia della frequenza sempre maggiore con cui le nuove generazioni imballano, con i vestiti ed i libri, la propria intera vita, e la trasferiscono all’estero. Questo perché tale scelta viene considerata, a ragione, un grande passo, un atto di coraggio, un salto nel buio. Eppure con il passare dei mesi, esaurita la sorpresa iniziale, il modello mentale della propria quotidianità si riqualifica nel paese d’adozione – tra quelle strade, con quelle persone, in quella lingua – e ciò che ieri appariva una curiosa stranezza locale, si consolida oggi in nuova abitudine. A tal punto che, se si è di passaggio nella vecchia Italia, ci si sorprende a fare riferimento a quell’angolo di estero ormai nostro con l’eloquente sostantivo di “casa”, in maniera spontanea e del tutto involontaria. Non è più causa di stupore dover lasciare il 10% di mancia al ristorante, avendo cura però di arrotondare all’euro, e non al centesimo, come il rigore matematico ti avrebbe imposto, per non incontrare espressioni sbigottite. Non appare più buffo sentirsi dire dalla parrucchiera, dopo il taglio, che la sola asciugatura in negozio ti costerà ulteriori dieci euro, ma potrà divenire gratuita se provvedi da solo in loco, ragion per cui dalle vetrine puoi scorgere torme di clienti affaccendati fare da sé. Non è più disorientante che alla fine di ogni lezione universitaria tutto il pubblico studentesco colpisca con le nocche il proprio banco, bussi collettivamente, per così dire, a mo’ di applauso e di saluto. E riesci finalmente a dare per acquisito che i mezzi siano puntuali, e la mensa dell’università addirittura buona (i reduci di Torino – a cui va tutta la nostra solidarietà – ben comprenderanno la nostra incredulità). Scopri perfino di star acquisendo qualcosa del dialetto locale. Fino a che un giorno, in pieno centro, al grido di ganz frisch aus Sachsen! (“freschissime dalla Sassonia!”), non trovi un venditore di castagne che certo non può sapere che tu capisci benissimo cosa significano le scritte “Bussoleno” e “Cuneo”, che comicamente lo smentiscono dal sacco di juta contenente la sua merce. Ed è così che, con una risata di cuore ed una storica fotografia insieme ad un sacco di castagne, conquisti la certezza che non ti dimenticherai mai da dove sei venuto.

La Firenze sull’Elba

Lo Zwinger di Dresda, sede della Pinacoteca dei Maestri Antichi.

La nostra amica Federica ci attende di buon mattino a Theaterplatz, di fronte alla magnifica Semperoper, il teatro dell’opera di Dresda, in cui si esibisce la celebre Sächsische Staatskapelle Dresden. Per la seconda volta è così gentile da mettere a nostra disposizione le sue capacità di guida turistica, facendoci scoprire la sorprendente ricchezza culturale di questa città, e le innumerevoli connessioni che la legano alla nostra Italia. A partire dal tempio della musica alle nostre spalle. Sì perché questo edificio ha visto non di rado all’opera i migliori direttori d’orchestra italiani. Il sito stesso del teatro si fregia di aver goduto dell’ “impegno del visionario, energico Giuseppe Sinopoli in qualità di direttore principale della Cappella di Stato”, che è stata nei secoli ripetutamente diretta da nostri connazionali, da Antonio Scandello nel lontano Cinquecento fino a Fabio Luisi, tuttora in carica.

È sufficiente voltarci verso il lato opposto per apprezzare la Chiesa Cattolica di Corte, progettata dall’architetto romano Gaetano Chiaveri nel 1755, un gioiello tardobarocco realizzato con i contributi artistici dello scultore Lorenzo Mattielli e del pittore Stefano Torelli, e mediante un ingente impiego di manodopera italiana, ragion per cui, ancora oggi, l’edificio antistante porta il nome di Italienisches Dörfchen, „piccolo villaggio italiano“. Non basta ancora per sentirci, una volta tanto, fieri delle nostre origini all’estero? E allora volgiamo lo sguardo verso la statua che campeggia al centro della piazza. Rappresenta il re Johann di Sassonia, figlio di una nobile nata a Parma, sincero appassionato di letteratura dantesca e autore di un’importantissima traduzione della Divina Commedia. Non è finita qui: a pochissimi metri di distanza si trova lo Zwinger, sede della Pinacoteca dei Maestri Antichi. E all’interno è un trionfo di arte italiana: Tiziano, Giorgione, Pinturicchio e Parmigianino sono solo alcuni dei pittori le cui opere rendono questa una delle principali esposizioni del mondo, il cui pezzo forte è la Madonna Sistina di Raffaello, che fa di questo luogo, con tutta probabilità, la più importante collezione a lui dedicata all’infuori dei nostri confini nazionali.

Tutto questo in una manciata di metri quadrati: Theaterplatz e dintorni. La nostra amica tra poco se ne dovrà andare, la salutiamo, la ringraziamo, e restiamo con la consapevolezza che, se tanta bellezza e tanta Italia sono racchiusi in una singola piazza, è difficile immaginare quanto abbia da offrire l’intera città, troppo spesso – proprio come Torino – sottovalutata. Ma è sufficiente osservare l’altra tela che conferisce un richiamo mondiale al museo, dal lungo nome “Dresda dalla riva destra dell’Elba a monte del ponte di Augusto”, di Bernardo Bellotto – anch’egli detto il Canaletto come il suo ancor più celebre zio – per rendersi conto di quali siano le motivazioni che hanno guadagnato a Dresda, su iniziativa di Herder nel 1802 – l’appellativo di Elbflorenz, la Firenze sull’Elba.

Rinascere nel cuore dell’Europa

La Frauenkirche, dopo la ricostruzione, terminata nel 2005.

Vogliamo vederla da vicino questa “locomotiva tedesca”, che non è l’ultima motrice di Trenitalia per i suoi Eurocity, bensì l’espressione dentro la quale i politici nostrani annacquano l’imbarazzo nel raffrontare i nostri parametri economici ai loro. Per farlo è necessario venire sul posto, e scoprire che la Germania non è solo il Paese cui fare riferimento durante la crisi, ma anche un luogo in cui, andando al supermercato, scoprite curiosamente che con la stessa somma potete acquistare tanto una bottiglia d’acqua quanto due dvd vergini, mentre in Italia ci vogliono fino a cinque bottiglie d’acqua per coprire il pezzo di un singolo dvd. In compenso frutta e verdura si presentano quasi come beni di lusso, con un prezzo specifico che supera quasi sempre quello del prodotto di bandiera (insieme alla birra naturalmente): i Würstchen, o più banalmente würstel.

Ma Dresda, la città che ci ha accolti, o meglio l’intera Sassonia, di cui è capoluogo, non è come la ricca Baviera o il popoloso Nordrhein-Westfalen, ma al contrario è una regione devastata dal cielo prima – sanguinosamente bombardata dagli Alleati appena una settantina di giorni prima della nostra Liberazione -, e dalla terra poi, a causa di un regime che ha letteralmente fermato il tempo mentre poco più ad ovest esplodeva il futuro. Simbolo di tutto questo è la chiesa di Frauenkirche, ricostruita nel 2005 tale e quale a quella del 1743, crollata sul finire della guerra, e le cui macerie sono rimaste sotto gli occhi degli abitanti fino agli anni ’90. Oggi, quando passeggiamo per il vivace centro storico, niente farebbe pensare che questo bellissimo edificio altro non sia se non un simbolo che ha appena terminato di risorgere, in cui le pietre recuperate sono state ricollocate ove possibile – con precisione tutta tedesca – nell’esatta posizione precedente.

Nonostante tutto questo, abbiamo avuto modo di constatare come la città stia avendo la forza di riguadagnarsi il proprio benessere. Solo per fare qualche esempio, nel prendere domicilio ci sono state consegnate due borse ricolme di guide ai musei, cartine della città e dei mezzi pubblici, buoni omaggio per svariate manifestazioni, e molto altro ancora. Cosa che si è sostanzialmente replicata durante l’iscrizione all’università. Senza contare i libri nuovi e gratuiti, spediti direttamente a casa dalla Volkshochschule per impartire le lezioni di Lingua italiana. Tutti “eventi” che in Italia faticherebbero a verificarsi. Certo, i trasporti costano almeno il doppio rispetto a Torino ma, come si suol dire, non si può avere tutto.

Se il Novecento per gli italiani è stato sinonimo di laceranti espatri verso i ghetti americani o le miniere del Belgio, ben altra cosa è cominciare una nuova vita oggi, oltre le Alpi, in mezzo a qualche Trabant testimone di un recente ma superatissimo passato, in una delle città più verdi d’Europa.

Dresda, una città tutta da scoprire

Horst Ziethen, Christine Gräfin von Brühl , Sachsen im Farbbild

Appena arrivati a Dresda io e il mio fidanzato abbiamo subito approfittato della nostra amica Federica, che per hobby fa la guida turistica a Dresda e dintorni, per conoscere un po’ meglio la nostra nuova città. La cosa che più mi ha colpito è stato il suo definire Dresda “la pausa bagno” dei vari autobus turistici. Pare che molti turisti si fermino a Dresda per una breve tappa, prima di ripartire verso la meta prevista o di rientrare a casa e spesso sono tutti molto dispiaciuti di non avere più tempo per visitare la città. Da qui l’idea di creare il mio blog per farvi conoscere un po’ meglio Dresda, sperando che anche a voi, come a me, venga voglia di dedicare un bella vacanza a questa città incantevole.

Ma iniziamo a scoprirla…partiamo dalla stazione centrale e percorriamo Prager Straße, la via dello shopping per eccellenza e dirigiamoci piano piano verso l’Elba. Camminando, in varie zone della città, troverete ancora dei punti da ricostruire, distrutti dai bombardamenti del 1945, anche direttamente accanto ai  centri commercialiGiunti in punta a Prager Straße, attraversiamo il Dr.-Kühlz-Ring e in pochi passi arriviamo nella piazza di Altmarkt, che a dicembre ospita i mercatiniA questo punto potete scegliere se dirigervi a destra verso la Kreuzkirche o se attraversare la Wilsdrufferstraße per arrivare nella piazza di Neumarkt, all’ombra della Frauenkirche, la chiesa protestante recentemente ricostruita dopo che per decenni le macerie di quella precedente sono state lasciate dall’amministrazione russa volutamente in bella mostra fin dalla Seconda Guerra Mondiale. Dirigetevi alla vostra sinistra ed ammirate il Fürstenzug, il più grande mosaico all’aperto del mondo raffigurante l’intera dinastia principesca dei Wettin, fino ad arrivare nel piccolo spiazzo che si trova fra il castello e la chiesa cattolica (Hofkirche). Ancora pochi metri e vi ritroverete davanti la Semperoper, lo stupendo teatro di Dresda, ricostruito per ben due volte dopo il primo crollo. Adiacente alla Semperoper si trova lo Zwinger, sicuramente il più ardito esperimento architettonico dell’intera città: fatto costruire da Augusto il Forte, è oggi sede di importantissime raccolte museali. Salendo sulla Brühlsche Terrasse – soprannominata la “terrazza d’Europa” – potrete godere della vista del fiume Elba, degli antichi edifici sulla sponda della città nuova (come un ex palazzo ministeriale ed il Japanisches Palais) e, più in lontananza, dello Yenidze, l’ex fabbrica di sigarette a forma di moschea, oggi ristorante e sede di rappresentazioni teatrali e musicali. Al termine della terrazza si trovano l’Albertinum (museo d’arte) e il museo Festung Dresden, che vi permetterà di addentarvi nei sotterranei delle antiche fortificazioni. Completando il vostro giro circolare, in pochi secondi raggiungerete il retro della Frauenkirche e, una volta di nuovo in Neumarkt, potrete visitare il Museo del Traffico, un’amplissima collezione di mezzi di trasporto d’epoca, pubblici e privati dalle automobili ai tram, dalle biciclette alle mongolfiere. 

Non molto distanti dal centro meritano poi una visita l’Hygiene Museum interamente dedicato alle caratteristiche del corpo umano – le Dresdner Bergbahnen, per godere di una vista d’insieme, dall’alto, dell’intera città e del bacino dell’Elba, e, perché no, il Grosser Garten ed il confinante zoo cittadino, per una mezza giornata all’insegna dello svago.

Diversi sono i  modi che avete a disposizioni per godervi la Dresda e molte sono le città nei dintorni più o meno immediati assolutamente da scoprire, ma di tutto questo ve ne parlerò più avanti.

La storia di Dresda

Era praticamente febbraio quando in tutta Dresda si iniziava a parlare della Menschenkette prevista per il 13 febbraio. Menschenkette significa letteralmente catena umana, ma né io né il mio fidanzato sapevamo che cosa significasse veramente. Abbiamo quindi iniziato a informarci e abbiamo scoperto che ogni 13 febbraio a Dresda viene fatta una vera catena umana, tutta la città si riunisce con un segno, che quest’anno era una rosa bianca, si dà la mano e in silenzio si ricorda quella terribile giornata, il 13 febbraio 1945. 

La Seconda Guerra Mondiale la conosciamo tutti, ma non tutti sanno che il 13 febbraio 1945 Dresda è stata quasi rasa al suolo e che molti civili sono morti. 

Per dirlo con le parole di Frederick Taylor, giornalista e storico inglese insegnante di Oxford:

«Sono quasi le dieci di sera quando a Dresda suonano le sirene antiaeree. Non è la prima volta, ma finora si è sempre trattato di falsi allarmi e i più sono convinti che “la Firenze sull’Elba” verrà risparmiata. Con i suoi splendidi edifici, testimoni di un illustre passato, le sue fabbriche di strumenti ottici e le sue splendide porcellane prodotte nella vicinissima Meissen, Dresda sembra un’oasi lontana dalle preoccupazioni della guerra. Nei cittadini e nelle autorità è radicato un profondo ottimismo, motivo per cui la città non viene dotata di particolari misure antiaeree e non si provvede alla costruzione di rifugi sicuri, il che avrà drammatiche conseguenze. Quello di Dresda è universalmente noto come il più intenso bombardamento scatenato sui cieli della Germania da parte della RAF e dell’aviazione americana: entro mezzogiorno del 14 febbraio (per ironia della sorte mercoledì delle Ceneri) la città è rasa al suolo, il centro storico completamente distrutto dalla tempesta di fuoco, e il numero delle vittime viene stimano intorno alle centinaia di migliaia.»

Per chi fosse interessato ad approfondire questo tema, consiglio vivamente questi due libri:

Frederick Taylor, Dresda 13 febbraio 1945: tempesta di fuoco su una città tedesca (titolo originale: Dresden), Milano 2005, Mondadori Editore

Uwe Schieferdecker, Dresden – Der dreifache Blick, Herkules Verschlag