Mai provato il caffè De Caffeinato?

Spezie in ordine alfabetico.

I luoghi comuni, sempre loro, i nostri fedeli compagni di viaggio nell’era di internet, dei boing, di Schengen e del mercato globale. In un primo momento è divertente vederli confermati, ma sul lungo periodo dà più soddisfazione trovare il modo di smentirli. Qui in Germania capitano l’una e l’altra cosa. Il campo in cui i non del tutto immotivati stereotipi trovano il proprio terreno più fertile è senza dubbio quello alimentare, e c’è da dire con un certo sconforto che l’ignoranza reciproca è piuttosto radicata. Trovare un italiano, sudtirolesi a parte, che pronunci correttamente “würstel“ costituisce già di per sé un’impresa. Se non ci riuscite poco male, dato che (sorpresa!) qui “würstel“ in realtà non lo dice nessuno! Non è questa infatti la parola comunemente utilizzata per i tipici salsicciotti mitteleuropei, almeno non nella stragrande maggioranza delle regioni. Ma anche gli autoctoni, che pure della nostra cucina si dicono tanto appassionati, in quanto a strafalcioni non scherzano affatto. Quante mattine passando davanti ad un bar si sente ordinare un “latte macciato”, e quanti menu ci offrono per iscritto gli Anti Pasti (per non parlare del caffè dei nobili, l’egregio commendator De Caffeinato, specialità locale). D’altro canto, a ben vedere, non c’è motivo di correggere con snobismo le piccole convinzioni (e convenzioni) errate di uno stato in cui trovi ovunque il succo di cavolo in confezione da un litro, mentre quello di albicocca è considerato una sorta di buffa primizia che una ed una sola ditta commercializza in tutto il territorio. Stravaganze che comunque si sopportano volentieri, quando si vive in un luogo in cui persino le spezie, al supermercato, vengono disposte in ordine alfabetico. Ah, il piacere dell’organizzazione! Un brivido sconosciuto al popolo del sole, del cibo sano e delle tempistiche puntualmente disattese.

Ma l’Italia, statene pur certi, si sa far riconoscere più o meno ovunque. Una sera ci troviamo davanti al teatro per goderci il Rigoletto, e già pregustiamo la prospettiva di essere gli unici nella sala ad aver pagato per qualcosa che poi verrà effettivamente compreso, quando scopriamo che la cassa è insolitamente chiusa. In compenso c’è un tizio in bermuda hawaiani e lunga coda di cavallo che avvicina i passanti nel tentativo di vendere loro dei biglietti d’ingresso, di cui la sua borsa sembra essere fonte magicamente inesauribile. Qualcuno lo chiama: «Vito!». Abbiamo già capito tutto, prendiamo e ripieghiamo su una passeggiata sull’Elba al tramonto, in attesa di una soirée in cui gli unici italiani che incontreremo siano quelli di cui possiamo andare fieri, quelli che con voce stentorea, muovendosi sopra il palco, mantengono vivo il ricordo di un Paese dell’Arte che, purtroppo, non c’è più.

Ma Bussoleno non era in Val Susa?

Dresda, mercatini di Natale. Castagne di Bussoleno.

Spesso ci si meraviglia della frequenza sempre maggiore con cui le nuove generazioni imballano, con i vestiti ed i libri, la propria intera vita, e la trasferiscono all’estero. Questo perché tale scelta viene considerata, a ragione, un grande passo, un atto di coraggio, un salto nel buio. Eppure con il passare dei mesi, esaurita la sorpresa iniziale, il modello mentale della propria quotidianità si riqualifica nel paese d’adozione – tra quelle strade, con quelle persone, in quella lingua – e ciò che ieri appariva una curiosa stranezza locale, si consolida oggi in nuova abitudine. A tal punto che, se si è di passaggio nella vecchia Italia, ci si sorprende a fare riferimento a quell’angolo di estero ormai nostro con l’eloquente sostantivo di “casa”, in maniera spontanea e del tutto involontaria. Non è più causa di stupore dover lasciare il 10% di mancia al ristorante, avendo cura però di arrotondare all’euro, e non al centesimo, come il rigore matematico ti avrebbe imposto, per non incontrare espressioni sbigottite. Non appare più buffo sentirsi dire dalla parrucchiera, dopo il taglio, che la sola asciugatura in negozio ti costerà ulteriori dieci euro, ma potrà divenire gratuita se provvedi da solo in loco, ragion per cui dalle vetrine puoi scorgere torme di clienti affaccendati fare da sé. Non è più disorientante che alla fine di ogni lezione universitaria tutto il pubblico studentesco colpisca con le nocche il proprio banco, bussi collettivamente, per così dire, a mo’ di applauso e di saluto. E riesci finalmente a dare per acquisito che i mezzi siano puntuali, e la mensa dell’università addirittura buona (i reduci di Torino – a cui va tutta la nostra solidarietà – ben comprenderanno la nostra incredulità). Scopri perfino di star acquisendo qualcosa del dialetto locale. Fino a che un giorno, in pieno centro, al grido di ganz frisch aus Sachsen! (“freschissime dalla Sassonia!”), non trovi un venditore di castagne che certo non può sapere che tu capisci benissimo cosa significano le scritte “Bussoleno” e “Cuneo”, che comicamente lo smentiscono dal sacco di juta contenente la sua merce. Ed è così che, con una risata di cuore ed una storica fotografia insieme ad un sacco di castagne, conquisti la certezza che non ti dimenticherai mai da dove sei venuto.

La Firenze sull’Elba

Lo Zwinger di Dresda, sede della Pinacoteca dei Maestri Antichi.

La nostra amica Federica ci attende di buon mattino a Theaterplatz, di fronte alla magnifica Semperoper, il teatro dell’opera di Dresda, in cui si esibisce la celebre Sächsische Staatskapelle Dresden. Per la seconda volta è così gentile da mettere a nostra disposizione le sue capacità di guida turistica, facendoci scoprire la sorprendente ricchezza culturale di questa città, e le innumerevoli connessioni che la legano alla nostra Italia. A partire dal tempio della musica alle nostre spalle. Sì perché questo edificio ha visto non di rado all’opera i migliori direttori d’orchestra italiani. Il sito stesso del teatro si fregia di aver goduto dell’ “impegno del visionario, energico Giuseppe Sinopoli in qualità di direttore principale della Cappella di Stato”, che è stata nei secoli ripetutamente diretta da nostri connazionali, da Antonio Scandello nel lontano Cinquecento fino a Fabio Luisi, tuttora in carica.

È sufficiente voltarci verso il lato opposto per apprezzare la Chiesa Cattolica di Corte, progettata dall’architetto romano Gaetano Chiaveri nel 1755, un gioiello tardobarocco realizzato con i contributi artistici dello scultore Lorenzo Mattielli e del pittore Stefano Torelli, e mediante un ingente impiego di manodopera italiana, ragion per cui, ancora oggi, l’edificio antistante porta il nome di Italienisches Dörfchen, „piccolo villaggio italiano“. Non basta ancora per sentirci, una volta tanto, fieri delle nostre origini all’estero? E allora volgiamo lo sguardo verso la statua che campeggia al centro della piazza. Rappresenta il re Johann di Sassonia, figlio di una nobile nata a Parma, sincero appassionato di letteratura dantesca e autore di un’importantissima traduzione della Divina Commedia. Non è finita qui: a pochissimi metri di distanza si trova lo Zwinger, sede della Pinacoteca dei Maestri Antichi. E all’interno è un trionfo di arte italiana: Tiziano, Giorgione, Pinturicchio e Parmigianino sono solo alcuni dei pittori le cui opere rendono questa una delle principali esposizioni del mondo, il cui pezzo forte è la Madonna Sistina di Raffaello, che fa di questo luogo, con tutta probabilità, la più importante collezione a lui dedicata all’infuori dei nostri confini nazionali.

Tutto questo in una manciata di metri quadrati: Theaterplatz e dintorni. La nostra amica tra poco se ne dovrà andare, la salutiamo, la ringraziamo, e restiamo con la consapevolezza che, se tanta bellezza e tanta Italia sono racchiusi in una singola piazza, è difficile immaginare quanto abbia da offrire l’intera città, troppo spesso – proprio come Torino – sottovalutata. Ma è sufficiente osservare l’altra tela che conferisce un richiamo mondiale al museo, dal lungo nome “Dresda dalla riva destra dell’Elba a monte del ponte di Augusto”, di Bernardo Bellotto – anch’egli detto il Canaletto come il suo ancor più celebre zio – per rendersi conto di quali siano le motivazioni che hanno guadagnato a Dresda, su iniziativa di Herder nel 1802 – l’appellativo di Elbflorenz, la Firenze sull’Elba.

Rinascere nel cuore dell’Europa

La Frauenkirche, dopo la ricostruzione, terminata nel 2005.

Vogliamo vederla da vicino questa “locomotiva tedesca”, che non è l’ultima motrice di Trenitalia per i suoi Eurocity, bensì l’espressione dentro la quale i politici nostrani annacquano l’imbarazzo nel raffrontare i nostri parametri economici ai loro. Per farlo è necessario venire sul posto, e scoprire che la Germania non è solo il Paese cui fare riferimento durante la crisi, ma anche un luogo in cui, andando al supermercato, scoprite curiosamente che con la stessa somma potete acquistare tanto una bottiglia d’acqua quanto due dvd vergini, mentre in Italia ci vogliono fino a cinque bottiglie d’acqua per coprire il pezzo di un singolo dvd. In compenso frutta e verdura si presentano quasi come beni di lusso, con un prezzo specifico che supera quasi sempre quello del prodotto di bandiera (insieme alla birra naturalmente): i Würstchen, o più banalmente würstel.

Ma Dresda, la città che ci ha accolti, o meglio l’intera Sassonia, di cui è capoluogo, non è come la ricca Baviera o il popoloso Nordrhein-Westfalen, ma al contrario è una regione devastata dal cielo prima – sanguinosamente bombardata dagli Alleati appena una settantina di giorni prima della nostra Liberazione -, e dalla terra poi, a causa di un regime che ha letteralmente fermato il tempo mentre poco più ad ovest esplodeva il futuro. Simbolo di tutto questo è la chiesa di Frauenkirche, ricostruita nel 2005 tale e quale a quella del 1743, crollata sul finire della guerra, e le cui macerie sono rimaste sotto gli occhi degli abitanti fino agli anni ’90. Oggi, quando passeggiamo per il vivace centro storico, niente farebbe pensare che questo bellissimo edificio altro non sia se non un simbolo che ha appena terminato di risorgere, in cui le pietre recuperate sono state ricollocate ove possibile – con precisione tutta tedesca – nell’esatta posizione precedente.

Nonostante tutto questo, abbiamo avuto modo di constatare come la città stia avendo la forza di riguadagnarsi il proprio benessere. Solo per fare qualche esempio, nel prendere domicilio ci sono state consegnate due borse ricolme di guide ai musei, cartine della città e dei mezzi pubblici, buoni omaggio per svariate manifestazioni, e molto altro ancora. Cosa che si è sostanzialmente replicata durante l’iscrizione all’università. Senza contare i libri nuovi e gratuiti, spediti direttamente a casa dalla Volkshochschule per impartire le lezioni di Lingua italiana. Tutti “eventi” che in Italia faticherebbero a verificarsi. Certo, i trasporti costano almeno il doppio rispetto a Torino ma, come si suol dire, non si può avere tutto.

Se il Novecento per gli italiani è stato sinonimo di laceranti espatri verso i ghetti americani o le miniere del Belgio, ben altra cosa è cominciare una nuova vita oggi, oltre le Alpi, in mezzo a qualche Trabant testimone di un recente ma superatissimo passato, in una delle città più verdi d’Europa.